A qualche giorno di distanza dalle conversazioni e divagazioni coreutico visive che lo hanno visto protagonista insieme al regista Pasquale Scimeca, lo abbiamo intervistato per raccontarvi il suo ideale di danza e di Sicilia.
Qual è il bilancio della sua partecipazione a Naxoslegge? Sono nate idee, suggestioni, progetti dal confronto con Pasquale Scimeca e il mondo del cinema?
“A freddo l’analisi non può che essere positiva su tutti i fronti. Incontri del genere che mettono a confronto due linguaggi così diversi come il cinema e la danza, l’uno filtrato dagli occhi degli spettatori e dall’obiettivo della telecamera, l’altro interamente incentrato sul corpo, sono incontri importanti, da fare più spesso. Vere e proprie suggestioni artistiche a caldo non ce ne sono state ma ho potuto constatare che noi siciliani ci teniamo moltissimo a raccontare la nostra terra”.
Con la sua compagnia e la sua attività di coreografo anche per compagnie internazionali ha portato la Sicilia in giro per il mondo. Ma casa sua resta Catania. Perché questa scelta? Cosa significa per un ballerino e un coreografo dedicarsi alla danza in Sicilia?
“Più vado avanti e più mi rendo conto che forse ho più bisogno io della Sicilia che la Sicilia di me. Per me vivere a Catania non è un sacrificio, lo è stato di più quando ho scelto di tornare, ma comunque il mio lavoro mi porta a restare sul territorio non più di 4-5 mesi l’anno, il resto del tempo sono in tournée. E’ come avere una casa multiproprietà che ti consente di mantenere un bel rapporto con la tua terra, di restarci nel momento della creazione e di estraniarti dal caos. Credo che tutti gli artisti siciliani dovrebbero tendere a questo rapporto di creazione locale per poi esportare le creazioni all’estero. Vedo che in tanti non lo fanno. Certo, forse sarebbe più facile vivere a Parigi, a Londra, a Milano. Ma è uno scotto che ho deciso di pagare. Se la Sicilia si guarda con occhio aperto si scopre il massimo del contemporaneo nascosto. E’ una terra contaminata da storie, uomini, popoli, è stata terra conquistata che oggi conquista. A volte c’è chi ci fa fare brutte figure ma tolto questo ammasso di inutilità che c’è anche altrove, resta il meglio della contemporaneità che ci può essere solo dove c’è storia. Non capisco come abbiamo fatto a farci sfuggire tutte le bellezze che abbiamo”.
Qual è l’impronta siciliana nella sua danza? E quali sono i progetti in cantiere?
“Il lato istintivo, selvaggio che mettiamo in tutti i nostri spettacoli e anche nei workshop. L’istinto è il lato selvaggio è il tratto tipico della sicilianità nel bene e nel male, nell’ospitalità come nel rifiuto delle regole. E’ un istinto da domare, da usare nel modo più nobile possibile come cerchiamo di fare in tutte le nostre creazioni, in particolare in “Sud-virus” l’ultimo spettacolo a cui abbiamo cominciato a pensare con la compagnia, che riprende un lavoro già avviato in Svezia ampliando il discorso al virtuosismo dell’istinto affidato alla danza. Spero che diventerà il nostro cavallo di battaglia, come lo è stato Instrument 1, che è arrivato alla novantesima replica. Intanto tra qualche giorno partiremo per la tournée in Germania e a Lecce, mentre per il 2014 abbiamo in cantiere la seconda tappa del progetto sulle Shoà del mondo”.
Alessia Cotroneo – iTAM Comunicazione