Il regista Pasquale Scimeca, autore di Placido Rizzotto, il film che racconta la storia del sindacalista di Corleone ucciso dalla mafia, a Naxoslegge ha offerto le sue riflessioni e divagazioni sull’arte, sul cinema e sulla Sicilia in compagnia del ballerino e coreografo Roberto Zappalà.
A qualche giorno di distanza, ormai lontano dalla terrazza panoramica del Lido di Naxos, lo abbiamo rincontrato per approfondire le riflessioni emerse da quell’incontro.
Può fare un bilancio della sua partecipazione a Naxoslegge? In cosa si sente accomunato a Roberto Zappalà, co-protagonista insieme a lei delle conversazioni e divagazioni coreutico-visive coordinate da Giuseppe Condorelli?
“Mi sento accomunato a Roberto Zappala un’idea dell’arte che pur partendo da una ricerca (e un amore) del/per il mondo popolare, si sviluppa sul piano della contemporaneità e delle esperienze delle avanguardie ovunque si trovino nel mondo. Per dirla con una metafora: i piedi che affondano nella terra e lo sguardo perso tra le nuvole”.
Pur essendosi trasferito già dopo il liceo a Firenze, la Sicilia resta al centro della sua ispirazione e di tanti suoi film, da “Placido Rizzotto” al più recente, “Convitto Falcone”. Quanto è difficile per lei e in generale per un siciliano staccarsi, artisticamente parlando, dalla “sua” isola?
“Come diceva Leonardo Sciascia, o si va via da questa terra prima di aver compiuto diciotto anni, o vi si rimane impantanati per sempre. Io sono andato via che avevo diciotto anni appena compiuti, e quindi ci sono rimasto invischiato solo a metà. Ma poi, se si guarda ai nostri grandi scrittori allora si capisce il vero senso della frase di Sciascia. Verga scrisse “Rosso Malpelo” quando si trovava a Milano. Vittorini scrisse “Conversazione in Sicilia” da emigrante. Consolo era ossessionato dalla lingua e aveva costruito la sua terra nell’immaginario del suo appartamento milanese. Pirandello è il più provinciale di tutti gli scrittori siciliani, ma la sua arte della scrittura è così sublime da farcene dimenticare. Sciascia è forse l’unico dei grandi scrittori che non si è mai mosso dalla Sicilia, ma dal suo paese in mezzo alle zolfare guardava al mondo con ammirazione e sognava di essere universale, e a suo modo lo era. Io, nel mio piccolo, cerco e ricerco il mio Sogno perso, irrimediabilmente perso, e quello che mi rimane è cercare, come un barbone tra i rifiuti e la spazzatura, nella speranza di ritrovarne qualche frammento (della “mia” isola si capisce)”.
La cifra distintiva della sua produzione cinematografica è una sicilianità non esibita, che prende le distanze da una certa “sicilitudine” colorata di folklore e luoghi comuni. Hanno mai provato a farla deviare da questo percorso?
“E chi ci può provare? Se c’è una cosa di cui posso dire di andare fiero è la mia indipendenza e la libertà che mi sono guadagnata da ogni forma di potere, politico, economico o culturale che sia”.
Qual è il ruolo del cinema nel risveglio culturale, auspicato da più parti, dell’Italia in generale e della Sicilia in particolare?
“Non lo so, non riesco più a capire cosa intendono quando parlano di “risveglio”. Come faceva dire al suo Principe, quel mediocre scrittore, ma anche grande filosofo qual’era Tomasi di Lampedusa, (cito a memoria) “L’unica cosa che i siciliani desiderano veramente è dormire, e odiano tutti quelli che vogliono svegliarli”.
Alessia Cotroneo – iTAM Comunicazione