Farid Adly la Libia ce l’ha nel sangue e nella mente. E’ lì che nasce ed è da lì che parte, negli anni Sessanta, da studente, per scoprire l’Occidente. Nel suo viaggio scopre l’Italia, il Politecnico di Milano, l’Università per stranieri di Perugia, la passione per il giornalismo che lo porterà a fondare l’agenzia bilingue Anbamed e a essere una delle voci di spicco di Radio Shaabi, la pionieristica trasmissione di Radio Popolare. Infine, scopre l’amore, che lo porterà a trasferirsi ad Acquedolci, in provincia di Messina, dove fonda il circolo ARCI “A.C. Mediterraneo”. Tutto ciò senza mai smettere di rivolgere lo sguardo e il pensiero all’altra sponda del Mediterraneo. Alla sua Libia, alla sua Bengasi che tante volte ha raccontato sulle pagine del Corriere della Sera e del Manifesto e tra le righe del suo ultimo libro La rivoluzione libica (Il Saggiatore), presentato a Naxoslegge.
Partiamo dalle pagine non scritte del libro, da un’ipotetica post fazione: l’assassinio del console Stevens e di altri tre cittadini americani a Bengasi sembra riportare indietro il processo di transizione democratica. Cosa sta succedendo in Libia?
“Ritengo l’attacco al consolato americano di Bengasi che ha portato alla morte del console Stevens una forma di strumentalizzazione di un evento senza alcun dubbio nefasto: l’uscita del film con le immagini blasfeme su Maometto. Una strumentalizzazione per fini diversi dalla questione religiosa. Non è un caso che il film sia uscito già due-tre mesi fa mentre nel mondo arabo se n’è cominciato a parlare in occasione dell’anniversario dell’11 settembre, con un tempismo perfetto e più che sospetto. Quello di Bengasi è stato un attacco militare a tutti gli effetti da parte della minoranza rumorosa che vorrebbe portare il paese alle armi e che ha sfruttato la manifestazione come copertura. Sono convinto che dietro ci sia la mano dei gruppi salafiti legati al vecchio regime che cercano di rialzare la testa dopo che il popolo libico, nel segreto delle urne, ha penalizzato l’estremismo, relegando anche i Fratelli Mussulmani al 17%, contro il 50%di preferenze ai progressisti. La Libia è contro l’estremismo è il fanatismo religioso. Per gridarlo al mondo venerdì (oggi ndr) ci sarà a Bengasi e in altre città una grande manifestazione contro la violenza per chiedere il disarmo delle milizie armate e il rifiuto della strumentalizzazione della fede per ragioni politiche”.
Ha dichiarato che ha scritto il libro anche per reagire all’immagine della Libia tratteggiata da un sottosegretario del governo Berlusconi, che l’aveva definita “una tenda, quattro mogli e quattro cammelli”. Dopo la Primavera araba ritiene che quel sottosegretario abbia cambiato idea?
“Non so se il sottosegretario si sia ricreduto, so per certo che l’idea della Libia che c’è in Italia sta cambiando. Una settimana fa un rappresentante del ministero degli Esteri del governo Monti ha manifestato un approccio molto avanzato. L’Italia è un paese immerso nel Mediterraneo, deve avere un approccio strategico alla questione araba e nei confronti della Libia che resta un partner economico fondamentale, basti pensare che un automobile italiana su tre ha carburante libico. Un novità che lascia bene sperare, nel rapporto tra i due paesi, è la riapertura dell’Ufficio culturale italiano in Libia. D’altra parte, solo lo scambio culturale tra Nord e Sud del Mediterraneo può consentire l’instaurarsi di relazioni armoniose e feconde tra i popoli. Certo, anche l’economia è fondamentale, ma finora la ricerca del profitto, allineata a una politica mordi-e-fuggi delle aziende italiane, non ha prodotto grossi risultati Ed è evidente che con la nuova leadership libica non potrà continuare”.
E’ ottimista sul futuro della Libia?
“Sono fortemente ottimista, anche se so che la strada è in salita. C’è un paese da ricostruire, un esercito e forze di sicurezza da rifondare ma il paese non ha debito estero e ha una grossa ricchezza: il petrolio, da sempre fattore aggregante, non disgregante per il popolo libico. Inoltre la libia è un paese storicamente moderato, come hanno sancito anche le elezioni. Le milizie salafite sono una minoranza chiassosa contro cui si schiera il popolo compatto per dire no al terrorismo e no alle offese blasfeme nei confronti del Profeta. Quello che abbiamo visto in questi giorni nei tg è frutto di una rappresentazione mediatica sbagliata, che dà notizia delle manifestazioni contro gli Stati Uniti di 60 persone ma non delle manifestazioni per la pace di 120 cittadini liberi”.
Alessia Cotroneo – iTAM Comunicazione
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